QUELLA VOLTA CHE IL ROSSO VOLEVA GETTARSI DA UN DIRUPO

                                                                   







Eravamo sull'orlo di un dirupo, appoggiati alla balaustra in legno che delimitava il confine tra la villa e il precipizio, guardavamo in lontananza le luci della città che sembravano tante piccole stelle. Restavamo in un silenzio assordante, mentre dietro di noi si udivano lamenti, pianti e una voce sovrastante che ripeteva in continuazione: ”¡Policia, abre!”.

All'improvviso il Rosso ruppe il silenzio.

<<Guagliù, io mi butto!>> esclamò.

<<Rosso, smettila. Non fare stronzate.>> lo ammonii Merlo.

<<Rosso, stai esagerando. Qui siamo gli unici lucidi, vedrai che non ci faranno niente.>> lo rassicurai.

<<Guagliù, non avete capito proprio niente. E' proprio per questo che ci dobbiamo buttare. Perché se tutti qui sono strafatti, e noi siamo gli unici lucidi, la polizia penserà che siamo gli spacciatori.>> sentenziò il Rosso.


1


Ibiza, anno 2006. A quei tempi era la meta preferita di giovani alla ricerca di trasgressione e divertimento senza limiti. Quello fu il mio primo viaggio, avevo diciotto anni.

Ricordo che dopo aver consegnato la caparra non dormii per una settimana tanto ero eccitato.

Il trio di partenza era uno dei più insoliti mai creati.

C'era il Rosso, un misto tra D'Artagnan, Asterix e Van Gogh: aveva i capelli rosso autunno e un pizzetto stile Francia del Settecento. Era magro come un grissino e aveva la pelle talmente chiara che in alcuni punti si poteva vedere quasi il sangue scorrere nelle vene.

Un personaggio eclettico, un artista a suo modo.

Poi c'era Merlo, un tipo simpatico con la battuta sempre pronta, un comico mancato. Una fusione tra Siani (per le battute e le movenze) e Benny Hill (per l'aspetto fisico). Il soprannome Merlo gli fu dato perché si diceva che da bambino appena sentisse un merlo cantare, lui si fermasse e – ovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo – iniziasse a cantare insieme a lui, riproducendo il suo stesso verso.

Infine c'ero io, che a quei tempi ero “Uomo” un soprannome che odiavo.

Era dovuto ai miei boxer con il logo “Uomo” stampato tutto intorno all'elastico; in quel periodo mio padre lavorava nel mercato rionale e fece un “affare”.

Avevo una tale quantità di mutande “Uomo“ che avrei potuto venderle, e infatti poi lo feci... Ma questa è un'altra storia.

In quegli anni andavano di moda i jeans a vita bassa e un giorno, mentre mi abbassavo per allacciare i lacci delle scarpe, qualcuno notò i miei boxer “Uomo” e da allora diventò il mio soprannome ufficiale.

Il trio si formò per puro caso un giorno di primavera. Eravamo tutti e tre nella piazzetta del paese, ci conoscevamo di vista, eravamo dello stesso quartiere ma ognuno aveva la sua comitiva. Il Rosso si aggirava tra le varie comitive come se cercasse di vendere qualcosa, poi venne da noi e disse: “Guagliù, io e due amici miei abbiamo organizzato una vacanza a Ibiza questa estate ma sono venuti meno tutti e due e sono rimasto solo io. Se qualcuno vuole venire, vendono biglietto aereo e hotel a prezzo buono. Giusto per recuperare qualcosa di soldi”.

Vengo io!”, risposi istintivamente senza sapere nemmeno il costo.

In seguito seppi che lo stesso fece Merlo.

Si dice che le persone s'incontrino in un tempo stabilito, in un attimo perfettamente sincronizzato determinato da innumerevoli variabili... Fu così anche per noi.

Prima di partire uscimmo qualche volta insieme per conoscerci meglio.

Io ero il più piccolo dei tre, gli altri due avevano qualche anno in più ed erano coetanei. Mi ero sempre chiesto perché non frequentassero la stessa comitiva – dalle mie parti le comitive si formano secondo una rigida regola anagrafica, salvo rare eccezioni – ma dopo le prime uscite insieme mi fu tutto più chiaro.

Erano completamente incompatibili, in contrapposizione su ogni singola cosa. E perdipiù entrambi non si scostavano di un millimetro dalla loro opinione iniziale. Mi trovavo tra due fuochi e spesso venivo chiamato a fare da giudice sulle loro continue divergenze.

Era, per me, un compito gravoso, perché se davo ragione a uno l'altro si offendeva e viceversa. Così adottai una strategia: in presenza di entrambi, quando venivo chiamato in causa, mi astenevo da dare un giudizio, invitandoli a risolversela da soli; quando, invece, ero da solo con uno di loro gli davo ragione, usando di solito la frase: “E' vero, hai ragione tu! Ma non dirglielo, però. Non mettetemi in mezzo alle vostre discussioni”.

Lo so, è un comportamento moralmente discutibile ma funzionò; in fondo avevano solo bisogno che qualcuno gli desse ragione. E, soprattutto, così salvai una vacanza che rischiava seriamente di non iniziare.



2


Venne il giorno della partenza. Dopo circa due ore di volo atterrammo finalmente a Ibiza, la Isla bonita.

Ci sistemammo in un piccolo hotel a Figueretas, a pochi chilometri dal centro.

Arrivammo nel pomeriggio e appena finimmo di disfare i bagagli, cenammo e poi ci preparammo per la nostra prima serata nella movida di Ibiza.

Il locale in cui andammo si chiamava “El Divino”, si trovava su un isolotto a pochi metri dalla costa e ci si arrivava solo tramite una barchetta con tanto di traghettatore. Molto suggestivo.

Arrivati al locale venimmo accolti da una massa umana di ragazzi e ragazze pronti a passare la serata come come fosse l'ultima della loro vita nel delirio totale.

Quella notte ci rivelò due importanti informazioni che in seguito ci furono molto utili: la prima fu che nelle discoteche di Ibiza un drink costava diciotto euro; la seconda, che se non parli spagnolo difficilmente rimorchierai una spagnola – ammenoché tu non abbia l'aspetto di Brad Pitt in “Ti presento Joe Black”, in quel caso non c'è nemmeno bisogno di parlare, ma purtroppo non era il nostro caso – quindi meglio puntare sulle italiane.

Dopo due notti trascorse nelle discoteche, il terzo giorno decidemmo di goderci una giornata di mare.

Trascorremmo la mattinata a Playa de las Salinas, un posto paradisiaco dalla sabbia chiara e fine e il mare color turchese.

Nel pomeriggio, invece, ci spostammo in centro.

Passeggiammo curiosi per il lungomare che costeggiava il porto, ammirando i megayacht ormeggiati e cercando di indovinare a chi appartenessero.

Ci soffermammo su uno in particolare: un panfilo di dodici metri super lussuoso.

<<Secondo me, è di un arabo, un petroliere.>> proposi.

<<Nooo. Sarà di americano pieno di dollari.>> ribatté Merlo.

<<Guagliù, ve lo dico io: questo è sicuramente di un riccone russo.>> asserì Rosso, con un ghigno sardonico di chi sa il fatto suo.

<<Eeeeh... Mago Silvan è arrivato!>> replicò sarcastico Merlo.

Il Rosso a questo punto chiamò Merlo a sé, gli appoggiò un braccio sulle spalle e avvicinò la testa alla sua, poi con l'indice della mano indicò qualcosa in lontananza sulla prua dello yacht.

<<La vedi quella bandierina che sventola lì?>>

<<Sì, la vedo. E allora?>>

<<E' la bandiera della Russia, capra!>>

<<Uà! E come hai fatto a cecarla laggiù? E che tieni gli occhi di falco, maaamma mì!>>

Il Rosso notò un negozio ed entrammo. Era lo store del Pacha – nota catena di discoteche diffusa in tutto il mondo -, prese dallo scaffale una maglietta giallo limone con due ciliegie – il logo del brand – e la scritta “Pacha” in rosso stampate sul lato frontale, la spiegò e se la misurò addosso.

<<Che dici, mi va?>> mi chiese

<<Ti sta a pennello!>> risposi

Pagò e uscimmo. Pensai tra me e me “Cazzo, due ciliegie cinquanta euro!”.

Continuammo a passeggiare per le vie del centro e di tanto in tanto si avvicinavano a noi ragazzi e ragazze per venderci insistentemente i biglietti delle varie serate. I ragazzi li allontanavamo bruscamente, con le ragazze, invece, iniziavamo una conversazione che terminava quando si arrivava al punto di concludere l'affare o prima per qualche commento troppo spinto di Merlo.

Mentre conversavamo con una di queste ragazze, all'improvviso sfrecciò di fianco a noi uno scooter, modello booster, sul quale ci sembrò di scorgere una figura familiare. Lo notammo tutti e tre e infatti ci girammo di scatto, troncando immediatamente la conversazione con la ragazza, ma Merlo, istintivamente, urlò il suo soprannome.

<<Puledro, Puleeé!>>

Il ragazzo sul booster, udendo quell'appellativo personale, frenò con una sgommata. Era lui: Puledro.

Il soprannome Puledro era dovuto alla sua pettinatura: i capelli raccolti indietro in una coda di cavallo, e agli incisivi particolarmente sporgenti.

Era alto più di un metro e ottanta e aveva una corporatura esile ma muscolosa, era fissato per la palestra da sempre.

Immaginate uno Steven Seagal al suo apice negli anni 90' e mettetegli con photoshop la bocca di Ronaldo “il fenomeno”... Eccolo Puledro.

Girò lo scooter e venne verso di noi.

<<Nooo! A casa non siamo capaci di vederci nemmeno per un caffè e poi ci acchiappiamo qui.>> disse incredulo Puledro.

<<Pulé, ma che ci fai qui? Noi sapevamo che eri emigrato ma non qui... più a Nord>> gli chiesi

<<Sì, guagliù. Ma in estate vengo a svernare qui!>>

<<Sei un mito, Pulé!>> esclamò Rosso

Scese dallo scooter, lo mise sul cavalletto e ci salutammo abbracciandoci.

<<Guagliù, non mi dite niente ma non mi posso trattenere, devo proprio scappare. Ho un appuntamento tra cinque minuti. Però, guagliù, stasera venite a questa festa, siete miei ospiti. Segnatevi l'indirizzo>>

<<Dimmi, Pulé!>> disse Merlo, prendendo il cellulare dalla tasca.

<<Calle de Navarra, 23>>

<<Segnato, Pulé!>>

<<Allora ci vediamo stasera, guagliù. Un bacio!>> ci salutò Puledro

<<Ciao, Pulé. A stasera!>> dicemmo in coro.

Puledro salì di nuovo sullo scooter, lo tolse dal cavalletto e a tutto gas si dileguò tra le vie del centro di Ibiza.

Continuammo a camminare per le strade del centro, parlando della serata che ci attendeva; non eravamo mai stati a una “festa”, che era il termine per indicare un party privato, e ci chiedevamo cosa ci aspettasse.

Dopo alcuni minuti il sole iniziò a calare, così prendemmo un taxi e tornammo a Figueretas.



3


Prima di tornare in hotel ci fermammo in un supermarket per acquistare qualche bottiglia di vodka, gin, tonica e red bull. Avevamo imparato dalle lezioni precedenti e sapevamo che se un drink in discoteca costava diciotto euro, ad un party privato immaginavamo costasse sicuramente un occhio della testa.

Così ci assicurammo di non incappare nello stesso errore: “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico”, dicevamo gli antichi saggi.

Tornati in hotel, cenammo e ci abbigliammo per la serata.

Il Rosso indossò: t-shirt bianca, jeans modello slim, Converse all-star giallo paglierino e cappello da baseball; Merlo, invece: camicia giromanica verde militare tinta unita stile Lorenzo Lamas in Renegade (senza fisico, però), jeans vita bassa e Nike air max silver; infine, io: camicia mezze maniche verde militare con stampa, jeans vita bassa senza cintura (non ricordo perché ma odiavo le cinture) da cui si intravedevano i miei immancabili boxer “Uomo” e Nike air max Tn dorate (una vera schiccheria).

Merlo preparò i drink; quella sera io e lui ne bevemmo qualcuno in più per sicurezza, il Rosso, invece, era astemio.

Faceva giusto qualche sorsetto di brindisi, più che altro per accontentarci dopo le nostre insistenze, eppure durante le serate si scatenava come un indiavolato.

Io e Merlo ci chiedevamo come facesse, visto che noi senza l'aiuto del “coraggio liquido” non riuscivamo a muovere un passo; era come se avesse una scorta di alcool naturale in corpo e all'occorrenza la mettesse in circolo.

Tra un drink e un altro ci accorgemmo che era quasi mezzanotte, così uscimmo dall'hotel e iniziammo a camminare alla ricerca di un taxi. Dopo qualche metro lo trovammo, salimmo a bordo, dicemmo la destinazione al conducente e partì.

Durante il tragitto conversammo con il tassista che scoprimmo essere italiano, di Treviso per la precisione. Si era trasferito a Ibiza dieci anni fa, ci disse, e stava bene.

Elogiò lo stile di vita, il popolo ibicenco e i congrui guadagni che tirava su nei soli mesi estivi, ma ci disse anche che spesso sentiva la mancanza del suo paese di origine e che se avesse avuto la possibilità di ritornarci ci sarebbe andato di corsa: “Raga', l'Italia è l'Italia! Quando siamo lì la disprezziamo e vogliamo scappare via... ma poi quando ce ne andiamo ci accorgiamo che ci manca e che non c'è cosa più bella e naturale di restare e vivere dove siamo nati”.

Dopo circa quindici minuti arrivammo a destinazione, pagammo il tassista compatriota e scendemmo.

Davanti a noi c'era un cancello bianco alto circa tre metri e largo quattro, completamente impenetrabile. In alto a destra, installata nel muro, una telecamera puntava il suo occhio asettico verso di noi; un po' più in giù, parallelamente, un citofono con un solo pulsante, e a circa un metro a destra da quest'ultimo una targhetta in bronzo su cui era inciso il numero ventitré.

Bussammo l'unico pulsante del citofono e dopo qualche secondo il cancello si aprì per un metro per poi bloccarsi; da quel metro di apertura uscì un omaccione dai tratti esotici, la pelle ambrata e i capelli biondo ossigenati.

<<¡Hola! Chi vi invita ragazzi?>> ci disse in italiano, intuendo le nostre origini.

Merlo disse il nome all'anagrafe di Puledro.

<<Ok. Entrate!>>



4



Entrammo e iniziammo a perlustrare il posto. La festa era già iniziata, si svolgeva nel cortile intorno alla piscina interrata e sotto una capannina di legno verniciata in bianco c'era la consolle, dove il D.J. Suonava musica house.

La villa era sontuosa, stile holliwoodiano. Era strutturata su tre piani: la facciata di ogni piano era tutta in vetro e lasciava intravedere gli interni. L'intero edificio era circondato da un prato all'inglese perfettamente curato, con alcuni sentieri in pietra che facevano da guida e al centro del cortile una piscina interrata a completare la sfarzosa dimora.

Era edificata sull'orlo di una collina e una balaustra in legno alta circa un metro e mezzo delimitava il confine tra la villa e il precipizio che distava ad almeno dieci metri.

In seguito scoprimmo che nei mesi primaverili, quando non era presente il turismo di massa, era sempre occupata da Puff Daddy, il famoso rapper.

Cercammo subito di individuare Puledro, e mentre scrutavamo i volti dei presenti notammo una stranezza: la maggior parte delle persone indossava occhiali da sole. Particolare molto strano, visto che era notte fonda e le luci montate per la serata non erano particolarmente accecanti, ma sorvolammo e continuammo a perlustrare la villa in lungo e in largo alla ricerca di Puledro.

Dopo alcuni minuti, dato l'esito negativo della ricerca, ci recammo al bar.

<<¿Donde lo pago?>> disse Merlo, con il suo spagnolo alla “Google translate”, al barista.

<<¡Nada! Freebar. ¿Que tomas?>> rispose il barista.

Merlo spalancò gli occhi e girandosi verso di me sfoderò un sorriso alla Stregatto, io ricambiai.

Pensai che eravamo capitati in un party stile Grande Gatsby: divertimento assicurato a scrocco di qualche fantomatico miliardario.

Eravamo euforici, iniziammo a bere e dopo qualche drink ci lanciammo in pista. L'effetto dell'alcool rendeva me e Merlo leggeri e loquaci, e anche il Rosso attivò la sua formula segreta (non bevve nemmeno un drink e sembrava brillo come noi).

Cercavamo di riconoscere le ragazze italiane basandoci sul modo di vestire e l'atteggiamento; avevamo ormai capito che tentare di rimorchiare spagnole o qualsiasi altra ragazza che non parlasse italiano, per noi, era praticamente tempo sprecato.

Dopo alcuni approcci falliti, notammo che la maggior parte delle ragazze, oltre ad indossare occhiali da sole, non era minimamente interessate a flirtare (fatto alquanto anomalo: in vacanza, in una serata a Ibiza!) anzi era come se le importunassimo... era come se stessero in un mondo a parte.

Sconsolati ci ritirammo e trovammo un posto appartato per riprendere fiato.

Mentre analizzavamo le stranezze della serata, Merlo richiamò la nostra attenzione.

<<Guagliù, Puledro. Eccolo!>>

Individuato finalmente Puledro ci avvicinammo a lui. Parlava con un ragazzo e reggeva in mano una bustina di plastica dalla quale estrasse una piccola pallina bianca che diede al suo interlocutore.

<<Puledro, Pulé!>> urlò Merlo

<<Guagliù!>> rispose Puledro riconoscendoci

<<Tutto a posto. Vi state divertendo?>> ci chiese

<<Sì, Pulé! Solo che è un po' strano qui... Tutta questa gente con gli occhiali.>> risposi

<<Guagliù, qua stanno tutti strafatti. Stanno come la merda!>> disse Puledro

<<A proposito>> continuò <<Se vi serve qualcosa ditemelo mo': md, chetamina... quello che volete>>

<<No, grazie Pulé. Stiamo a posto!>> rispose Merlo turbato.

Un gruppo di persone con occhiali da sole si avvicinò a noi famelici.

<<Guagliù, adesso ho da fare. Ci acchiappiamo dopo!>>

Puledro si spostò da noi e subito fu accerchiato da un'orda di persone che gli davano soldi in cambio di una pallina bianca o una pasticca.

Ci dirigemmo di nuovo nel posto appartato, rimanemmo lì senza parlare, i secondi scorrevano interminabili... finalmente qualcuno parlò.

<<Guagliù, ho capito bene? Stiamo in un droga party e lo spacciatore è Puledro.>> disse Merlo sbigottito.

Era proprio così. Eravamo capitati senza volerlo in un droga party molto in voga a Ibiza, serate in mega ville private dove potevi sballarti tranquillamente, ma la cosa che più ci sconvolse fu che Puledro era lo spacciatore e probabilmente uno degli organizzatori della serata. Da quello che sapevamo di lui, almeno in patria, non era mai sconfinato nell'illegalità.

Dopo un po', metabolizzata la notizia, tornammo al bar e poi in pista. Decidemmo di restare lì almeno per il tempo di smaltire l'alcool e di divertirci tra noi.

Ballammo liberamente, senza nessun contegno, liberi dal giudizio altrui; ci esibimmo nei passi alla “Michael Jackson”, il “robottino” e il Rosso (Niente... Non si bagnò nemmeno le labbra!) accennò qualche passo di break dance.

All'improvviso, nel bel mezzo della festa, accadde qualcosa: la musica si fermò e tutte le luci si accesero.



5



Rimanemmo immobili per qualche istante, cercando di capire cosa stava accadendo, un silenzio surreale ci circondava... Poi ad un tratto sentimmo una voce urlare: “¡Policia, abre!”.

Intorno a noi la scena era apocalittica: le persone che fino a poco tempo fa erano tranquillamente nel loro sballo, dopo che la musica si spense, diventarono come zombie in astinenza di cervelli; la musica era il collante che li teneva stabili e quando si fermò fu il caos: si udivano lamenti di disperazione, pianti e qualcuno addirittura si buttò in piscina.

Il Rosso andò nel panico. A me e Merlo l'effetto dell'alcool ci proteggeva dalla cruda realtà rendendola comica e vedendo quelle scene ridevamo a squarciagola; il Rosso invece sospese immediatamente la sua dose naturale di alcool e la realtà lo investì come un camion.

Ricapitolando, i fatti erano questi: ci trovavamo in un droga party a Ibiza e fuori al cancello bianco impenetrabile c'era la polizia che chiedeva insistentemente di entrare.

Il Rosso ci richiamo all'ordine interrompendo il nostro momento esilarante.

<<Guagliù, ma che cazzo ridete a fa'! Ma avete capito la situazione o no?>>

<<Rosso, ma li vedi a questi bruciati di testa.>> rispose sghignazzando Merlo

<<O' scé! Fuori ci sta la polizia e se entra ci arresta tutti. Abbiamo finito di fare la vacanza.>> ringhiò il Rosso

Alla minaccia della possibile interruzione della vacanza, tornammo in noi.

Il Rosso ci chiese di seguirlo; lo facemmo e ci portò fino alla balaustra in legno che delimitava il confine tra il precipizio e la villa.

<<Guagliù, statemi a sentire: scendiamo uno alla volta da qui e raggiungiamo la città.>> disse indicando il precipizio.

<<Rosso, tu non stai bene. Ma ti rendi conto che se scendiamo da lì moriamo sicuro.>> controbatté Merlo

<<Rosso, stai tranquillo. Aspettiamo un altro po' e vediamo come si mette la situazione>> proposi

<<Stammi a sentire a me: l'unica soluzione è questa!>> esclamò, guardandomi dritto negli occhi.

Il panico ormai aveva preso il sopravvento sul Rosso. Il solo pensiero di essere arrestato scatenò in lui la primordiale reazione del “combatti o fuggi” e lo trasformò in un provetto Tom Cruise in una scena di Mission Impossible; preferiva rischiare la morte piuttosto che la galera.

E' nei momenti come questi che si rivelano le persone, che escono fuori i valori più profondi, più radicati. E in quell'occasione il forte senso dell'onestà del Rosso si mostrò drasticamente.

Dopo interminabili minuti, dove il Rosso tentò più volte di buttarsi e dovemmo trattenerlo con la forza, il buttafuori dai tratti esotici e i capelli ossigenati che ci accolse all'entrata si aggirava per il cortile urlando in tre lingue: inglese, spagnolo e italiano: “Tutto risolto. Tra un po' riniziamo.”

E poco dopo le luci si spensero e la musica ritornò a suonare.


6



Il Rosso finalmente tornò in sé. Appoggiati alla balaustra in legno osservammo come il suono della musica rimetteva tutto in ordine come un effetto domino a ritroso. Man mano tornarono tutti a fare quello che facevano prima dell'interruzione, persino quelli che si gettarono in piscina, inzuppati da capo a piedi, rimisero gli occhiali da sole e muovendosi disordinatamente ritornarono nel loro mondo personale.

Rimanemmo a fissarli ipnotizzati per qualche minuto, poi ci guardammo negli occhi e senza dire una parola decidemmo che era arrivato il momento di andare via.

Ci avviammo verso l'uscita e mancavano pochi metri al cancello bianco impenetrabile, quando sentimmo qualcuno chiamarci: “Guagliù... Merlooo!”, era Puledro.

Ci fermammo, ci girammo e lo vedemmo che cercava di raggiungerci a passo svelto.

Lo aspettammo e quando ci raggiunse disse:

<<Guagliù, state andando via?!>>

<<Sì, Pulé. Ce ne andiamo>> risposi

<<Aspettate. Vi do un passaggio io, qui ho finito!>>

Uscimmo dalla villa e percorremmo il vialetto adiacente per alcuni metri, ci fermammo vicino ad una C3 Pluriel cabrio colore arancio.

Puledro aprì il veicolo e salimmo a bordo; lui era alla guida, Merlo si posizionò sul sedile passeggero e io e il Rosso sui sedili posteriori. Mise in moto e partimmo.

<<Pulé, ma che cazzo è successo?>> esordì Merlo.

<<Un macello, guagliù! Se non era per me adesso stavamo tutti in galera>> rispose Puledro.

Sentì chiaramente il Rosso sobbalzare sul sedile dopo le affermazioni di Puledro.

<<Nessuno strunz dei miei soci>> continuò Puledro <<Voleva uscire a parlare con gli sbirri. Alla fine per evitare problemi grossi, sono uscito io>>

<<Che cazzo, Pulé! E come te ne sei uscito con gli sbirri?>> gli chiesi

<<Sono uscito e c'erano due sbirri. Mi hanno detto che avevano ricevuto una segnalazione per schiamazzi notturni e che dovevamo abbassare il volume della musica. A quel punto sollevato mi sono scusato e gli ho detto che abbassavamo subito il volume. Ci siamo dati la mano e mi sono girato per tornarmene dentro... Quando all' improvviso uno dei due sbirri mi ha preso per un braccio mi ha girato verso di lui e guardandomi negli occhi mi ha detto: “Sappiamo bene cosa state facendo lì dentro. E tu sai bene che se entriamo a controllare sono cazzi. Perciò ascoltami: torna dentro prendi mille euro mettili in una busta e torna qua. Dopo ce ne andiamo e tutti sono felici e contenti>>

<<Uà Pulé, mi sembra un film!>> esclamai io, eccitato dalla storia

<<E poi che hai fatto?>> chiese Merlo impaziente

<<Sono tornato dentro, ho detto tutto agli altri, abbiamo apparato i mille euro, sono uscito e glieli ho dati. E poi subito sono scomparsi. Quei bastardi!>>

<<Maaamma mii', Pulé!>> esclamò Merlo

<<Rosso, ma che tieni? Non dici una parola. Ma tutto a posto?>> lo interpellò Puledro, vedendolo in silenzio.

<<No, Pulé. Il Rosso ha passato una brutta mezzora. Quando è venuto la polizia voleva buttarsi dalla collina. Sta' scioccato!>> disse Merlo sghignazzando

<<Rosso, ma veramente dice?>> incalzò Puledro

<<Pulé, ma secondo te mi dovevo fare arrestare? Lo hai detto stesso tu che se entravano ci arrestavano tutti. E poi non scherzare proprio, perché tutta questa tarantella è colpa tua. Non lo sapevamo che eri diventato “Scarface” altrimenti chi ci veniva.>> sbottò il Rosso inviperito.

Puledro rimase qualche secondo in silenzio, colpito da quello sfogo inaspettato del Rosso, poi parlò.

<<Rosso, vi ho invitato qui perché era l'unico modo per vederci. E poi credimi ne abbiamo fatte di feste ma questa è la prima volta che succede una cosa del genere. Dovevi venire tu che puort pest!>> rispose piccato.

<<Pulé, senti una cosa: ma tu non stavi a Londra o sbaglio?>> chiesi io, cercando di cambiare discorso e smorzare i toni.

<<Sì guagliù, sono stato lì per cinque anni. Ho lavorato prima come lavapiatti, poi come cameriere. Lavoravo anche dodici ore al giorno e alla fine i soldi che guadagnavo, bastavano giusto per le spese. Era proprio 'na fetenzia! Ero andato via da casa per migliorare e invece sono andato a peggiore.>>

<<Pulé, e poi qui come sei arrivato?>> chiese Merlo

<< Un amico di Londra mi chiese di andare a Ibiza con lui in vacanza e mi sono subito innamorato. Ho trovato lavoro e sono rimasto per quattro mesi.>>

<<Ma lavoro in che senso, Pulé? Tipo quello che fai adesso?>> chiesi io

<<No, no. Sempre come cameriere. Quello è nato dopo.>>

<<E come Pulé? Vogliamo sapere.>> incalzò Merlo, sfregandosi le mani. 

<<Ma perché non t fai e fatt tuoi? Mi sembra una pettegola.>> inveii il Rosso.

Ridemmo tutti e poi Puledro continuò la storia.

<<Dopo quell'estate, facevo sei mesi invernali a Londra e i sei mesi estivi a Ibiza. Un'estate, mentre stavo facendo un servizio con il motorino a Playa d'en Bossa, ho fatto un incidente e mi sono rotto il braccio. Stavo inguaiato! Non potevo lavorare e non potevo nemmeno andarmene perché tenevo un contratto di fitto per sei mesi e dovevo pagare una penale esagerata. Sono stato una settimana chiuso in casa, tutto a depressione.  Poi una mattina all' improvviso mi sono alzato e sono andato in centro.

La, mentre camminavo per fatti miei, improvvisamente ho sentito che mi chiamavano: Puledro! Puledro! Era un mio amico di Milano che avevo conosciuto qualche anno prima a Rimini.>>

<<Pulé, arriva alla fine che siamo quasi arrivati!>> lo incitò Merlo impaziente.

<<Alla fine... questo amico gestiva lo spaccio di pasticche nei locali e mi ha chiesto se volevo lavorare con lui, tutto o' blocc. Mettevo le pasticche nel braccio ingessato così entravo nei locali senza problemi.>>

<<Uà Pulé, che storia!>> esclamai

<<Pulé, sei proprio un narcos!>> disse Merlo 

<<Pulé, tu non stai bene con la testa. Tu prima o poi vai in galera.>> lo ammonii Rosso

<<Rosso, ma fatt i fatti tuoi. Mi sembri un prete>> controbatté Merlo.

Arrivammo a destinazione e Puledro parcheggiò a pochi metri dall'ingresso dell'hotel.

<<Pulé, a parte gli scherzi, ma puoi mai fare sempre questa vita? E' stressante e poi è rischioso>> gli chiesi

<<E' solo per un poco, guagliù. Sono due anni che sto insieme a una ragazza, si chiama Claudia, è colombiana>>

<<Auguri, Pulé!>> si congratulò Merlo

<<Lavora pure lei qui, fa la barista. E mi ha detto che in Colombia si sta bene. L' unica cosa è che non c'è  lavoro — m par Napoli — perciò lei è andata via. Però mi dice che se apriamo un chioschetto a Cartagena facciamo i soldi con i turisti.>>

<<Ho capito, Pulé, che vuo' fa'. State apparando i soldi per andare in Colombia e aprire un chioschietto!>> disse Merlo

<<Uà Merlo, sei proprio un mago! Ma come hai fatto a indovinare?>>ironizzò il Rosso.

<<Speriamo, Pulé!>> esclamai, dandogli una pacca sulla spalla

<<Pulé, noi ce ne andiamo, qua si è fatta mattina!>> disse Merlo, aprendo la portiera dell'auto.

Scendemmo tutti dall'auto e ci salutammo abbracciandoci.

<<Merlo, segnati il mio numero così prima che ve ne andate ci rivediamo>>

<<Aspé Pulé, prendo il telefono... vai, dimmi!>>

<<333467...>>

<<Apposto. Segnato!>>

<<Pulé, mi raccomando però non in una villa e nemmeno in una discoteca. Un caffè al bar va benissimo.>> lo avvisò Rosso.

<<Rosso, stai tranquillo. La prossima volta ti faccio proprio arrestare.>> Ribatté Puledro.

<<Ciao, Puleeé!>> dicemmo in coro.

<<Ciao, Guagliú ci acchiappiamo. Buonanotte!>> ci salutò Puledro entrando in auto.

Poi accese il motore e sparì tra il chiarore del cielo che precedeva l'alba.

Trascorremmo il resto della vacanza ballando in discoteche incredibili e visitando calette spettacolari; Ibiza era sì: il luogo dell'edonismo sfrenato, ma anche un'isola dai paesaggi naturali mozzafiato.

Dopo quella volta Puledro non lo vedemmo più. Lo chiamammo qualche giorno prima della partenza per salutarlo ma il numero che ci diede risultò irraggiungibile.

In realtà, Puledro, non lo vedemmo mai più. Sono passati più di quindici anni e di lui non abbiamo avuto più notizie. Ho provato svariate volte a cercarlo sui social, ma niente... svanito nel nulla.

Qualche anno fa - quando io, Merlo e il Rosso ci incontravamo ancora per un caffè – ipotizzavamo la sorte di Puledro.

Il Rosso era sicuro che fosse rinchiuso in qualche gattabuia di Ibiza per spaccio, e che se lo meritava – nutriva ancora un certo rancore per quella serata, nonostante gli anni passati.

Io e Merlo eravamo più ottimisti e lo immaginavamo su una spiaggia di Cartagena, sdraiato a prendere il sole a pochi passi dal suo chirinquito.

In ogni caso, qualunque sia la sorte che il destino gli ha riservato, di lui rimarrà una traccia indelebile nei nostri ricordi. Come del resto quella vacanza, quella serata... Quella volta che il Rosso voleva gettarsi da un dirupo.




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